Disturbo evitante di personalità

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Se non avete mai sentito parlare del disturbo evitante di personalità, sappiate che si tratta di una percezione profondamente radicata in un soggetto di sesso maschile o femminile. In pratica il soggetto che presenta i tratti caratteristici di questo disturbo, ritiene di essere una persona che da un punto di vista umano, relazionale, lavorativo ha uno scarso valore. In pratica si sente inadeguato, non crede di valere molto, per questo motivo soprattutto nei rapporti sociali la sua vita è determinata da una grande paura che cerca in tutti i modi di evitare.

Il giudizio delle altre persone per lui rappresenta un grande problema, che tende a vivere male provando paura, tensione e ansia, per questo motivo la persona affetta da questo disturbo mentale, scegliere volontariamente di condurre una vita il più possibile ritirata e isolata dalle altre persone, cercando in tutti i modi di evitare quelle situazioni nella quali rischia di essere giudicato dagli altri con conseguente senso di inadeguatezza percepito su se stesso.

La scelta di condurre uno stile di vita spartano, lontano da tutte quelle occasioni di contronto nelle quali potrebbe trovarsi in difficoltà è portata avanti in maniera consapevole. “Chissà gli altri cosa diranno di me, magari che non sono adeguato a ricoprire una determinata posizione lavorativa, o che nei rapporti sociali mi comporto in maniera non adeguata”, questi sono alcuni dei pensieri che attraversano la mente di una persona che presenta un profilo psicologico basato su questa specifica personalità.

Quindi la scelta consapevole di condurre una vita al di fuori dei classici “riflettori” ai quali siamo esposti ogni volta che interagiamo con gli altri, è il tipo di decisione che porta avanti con convinzione la persona che soffre di questo disturbo. Per questo motivo la sua vita sociale diventa pressochè piatta, le relazioni di tipo emotivo vengono ridotte al minimo se non del tutto assenti.

Il soggetto conduce quindi una vita isolata, lontana dai riflettori e dai problemi di tutti i giorni, solitaria al punto tale che spesso diventa vuota e priva di senso. Questo fa percepire chiaramente al soggetto un grande senso di solitudine e di vuoto. Meglio però portare avanti una vita del genere piuttosto che dover avere un confronto intenso, serrato e fatto di giudizi che arriva dagli altri.

Vita sociale assente e priva di amici

Nella maggior parte dei casi si tratta di individui che non hanno una vita sociale per la scelta che hanno deciso di portare avanti. Non hanno quindi amici con i quali condividere momenti piacevoli, serate in compagnia. Sul lavoro sono persone che in maniera consapevole rinunciano ad avere una carriera che li possa rendere appagati, sempre per non rischiare il giudiszio degli altri e doversi confrontare.

La loro vita affettiva è spesso del tutto assente, questo non vuol dire che non vogliano avere una partner con la quale condividere dei momenti di confronto e tenerezza, tuttavia le difficoltà alle quali andrebbero incontro se dovessero confrontarsi, l’eventuale imbarazzo che proverebbero se si trovassero in una condizione nella quale il confronto deve essere fatto, è più forte di qualsiasi desiderio di socialità che possono manifestare.

Non ci sono ad oggi dati chiari in tal senso che possano darci un minimo di chiarezza sul come questa problematica è distribuita sulla popolazione. Soprattutto se colpisce in maniera frequente più uomini o donne.

Senso di inadeguatezza diffuso

Se dovessimo creare un identikit ideale della persona che ha questo tipo di problematica, potremmo dire che si tratta di soggetti che hanno dentro di loro formente interiorizzato un profondo senso di inadeguatezza. Un altro fattore che li contraddistingue è un grande timore di quello che può essere il giudizio degli altri.

Per questo motivo il loro livello di interazione sociale è fortemente limitato e scelgono appositamente una vita ritirata a livello sociale. Perchè in loro scatta questo meccanismo mentale che li porta a isolarsi e a rifiutare i contatti? Perchè partono da un presupposto errato, che il giudizio degli altri nei loro confronti sia negativo. Lo danno per scontato, non pensano assolutamente che il contatto con gli altri lo potrebbe portare ad avere dei confronti positivi, basati su un buon rapporto con gli altri.

La scelta di non avere una vita sociale non è sinonimo di benessere per questi soggetti. In pratica la scelta di rimanere lontani dalla vita sociale e da quella affettiva è una scelta forzata dettata dalla paura di avere un confronto con gli altri basato su un giudizio negativo. Tuttavia in loro il bisogno di socialità, di avere rapporti sociali è sentito, avvertono e percepiscono la necessità di avere un contatto sociale e di avere una vita affettiva.

Questa contraddizione in loro, questa esigenza di avere contatti sociali, amicizie, una vita affettiva appagante che rimane inespressa per paura del giudizio degli altri, viene vissuta male dal soggetto. Dentro al suo animo si crea una situazione di sofferenza e malessere che è il risultato di una parte della propria vita che non si compie come si dovrebbe.

Spettatori passivi della vita altrui

Questa condizione psicologica particolare, li porta verso una vita priva di stimoli e di appagamento interiore. Vivono la vita come una sorta di film nel quale non sono loro i protagonisti. Osservano la vita degli altri che si snoda in maniera naturale tra amici, parenti e colleghi di lavoro mentre loro sono ai margini, spettatori passivi della vita degli altri e di una vita propria che non hanno.

Per quanto riguarda una possibile vita di coppia che potrebbero avere, con la partner non hanno punti di comunanza e condivisione, al punto tale che non riescono a creare un rapporto basato sulla condivisione di qualche interesse o passione in comune. Per questo motivo vivono una sensazione di disagio, di perenne esclusione da qualsiasi tipo di gruppo nel quale potrebbero inserirsi.

Trasparenti nei riguardi degli altri

Quando si trovano a doversi confrontare con gli altri in maniera obbligata, nel loro animo si radicano una serie di convinzioni. Dal loro punto di vista le altre persone non li stimano, non li considerano, li considerano in ogni caso persone di scarso valore. Questa percezione distorta del giudizio degli altri li porta a convincersi sempre di più del fatto di essere inadeguati, incapaci di mantenere una relazione stabile e di un confronto costruttivo con gli altri.

Coltivare interessi solitari

Un soggetto che soffre di disturbo evitante di personalità sceglie per evitare il confronto con gli altri una vita necessariamente ritirata a solitaria. Tuttavia al pari di altre persone hanno bisogno di gratificare il loro interiore di riempire i vuoti che percepiscono esserci dentro di loro. Per questo motivo, per riuscire ad avere un minimo di vita gratificante, scelgono di coltivare delle passioni e degli hobby piuttosto solitari come ad esempio l’ascolto della musica, leggere un buon libro, chattare in maniera virtuale. Questo modello di vita solitario, può indurre in questi soggetti la comparsa di una sindrome di natura depressiva.

Rappporto di sudditanza con gli altri

Se una persona affetta da questo disturbo riesce a costruirsi una relazione affettiva, per paura di perdere la persona tenderà ad assumere un atteggiamento sottomesso. In pratica eviterà di esprimere un’opinione contraria a quella del proprio partner, soffocando di fatto le proprie esigenze e il proprio modo di vedere le cose.

Tuttavia questa apparente situazione di tranquillità vissuta dall’esterno è destinata a passare in fretta. Nel corso del tempo questa scelta e questo atteggiamento che hanno adottato gli diventa pesante, molto difficile da sostenere e da sopportare. Il soggetto che soffre di questo disturbo inizia a vivere con insofferenza il rapporto di coppia, e avrà improvvise esplosioni di rabbia nel momento in cui si troverà ad affrontare delle difficoltà di natura relazionale con il proprio partner.

Possibili cause

Questa problematica psicologica specifica, a quale età tende a manifestarsi? In linea generale la sua comparsa coincide con l’adolescenza anche se si possono identificare dei precisi fattori di rischio che andiamo a vedere:

  1. Un soggetto che ha subito violenze di tipo fisico, può sviluppare un disturbo del genere
  2. Un soggetto che ha avuto dei genitori che hanno espresso sentimenti di rifiuto nei suoi riguardi

In concreto potremmo pensare a un bambino che subisce ripetuti episodi di bullismo nel quale viene preso di mira da altri suoi coetanei che lo prendono in giro e lo tormentano. Potrebbe sviluppare una reazione che lo spinge a rifugiarsi nella sicurezza e nell’intimo della propria casa e nel corso del tempo, manifestare una personalità di tipo evitante.

Costruzione di un mondo artificiale attorno ad essi

Un soggetto del genere come abbiamo detto può scegliere una vita piuttosto solitaria e isolata, priva di rapporti umani e sociali per evitare un confronto che lo farebbe sentire inadeguato e insicuro. Oppure può riuscire a condurre una parvenza di vita sociale basata su pochi elementi ma validi. Quindi una vita familiare fatta di poche persone piuttosto intima e un lavoro senza grandi ambizioni che si basi principalmente su una certa tranquillità e senza velleità di carriera.

Questo modello artificiale che si è creato è artificiale, basta che subentri un elemento esterno a rompere questo equilibrio che il soggetto tende a sviluppare delle reazioni di collera improvvisa, unite poi a sindromi di natura depressiva. In questa fase può essere spinto dal bisogno a chiedere l’aiuto di uno psicoterapeuta.

Approcci terapeutici

Come intervenire su un disturbo del genere? In linea di massima, ad oggi gli studi che hanno indagato a fondo questo tipo di disturbo per costruire poi dei protocolli di natura terapeutica efficaci sono pochi. In ogni caso si utilizza un approccio al problema focalizzato su una terapia personalizzata e anche di gruppo.

Il trattamento cognitivo-comportamentale deve aiutare i pazienti a ricostruire un buon livello di autostima. Quindi si lavora sul disagio che questi soggetti provano nei contesti sociali. Il lavoro di gruppo deve aiutare a mettere in contatto il soggetto con gli altri per fagli capire il proprio problema di sensibilità al rifiuto.

Il trattamento farmacologico deve serive per gestire fasi critiche di ansia e depressione presenti nel soggetto. Tuttavia per avere dei miglioramenti effettivi è necessario anche intervenire sugli aspetti di difficoltà emotiva che il soggetto sperimenta. Se non si riesce a lavorare sulle emozioni che scatenano il senso di disagio e che causano lo stato di sofferenza interiore ed emotiva, non si aiuterà il soggetto.

Quindi è importante andare verso una direzione specifica, quella di riuscire a costruire in maniera opportuna un percorso che riesca a fa collegare al soggetto, gli stati emotivi interiori correlati alle variabili esterne che sono in grado di scatenare.

Solo dopo aver affrontato questo step specifico, si potranno fornire al paziente dei validi strumenti per riuscire a gestire quelle difficoltà che derivano da rapporti interpersonali e relazionali con altre persone. Il disturbo evitante di personalità di può quindi affrontare ma serve un percorso approfondito a livello psicoterapeutico che lavori sul soggetto e sulle relazioni sociali esterne.