Neurofeedback effetti collaterali

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Quali sono gli effetti collaterali del Neurofeedback? La risposta corretta è che ad oggi, per gli studi che sono stati effettuati su questa dinamica, si parla di un arco temporale che risulta essere pari a circa 30 anni, non sono stati rilevati eventuali effetti collaterali. La motivazione è legata al fatto che la persona, tende ad agire direttamente sul proprio cervello, cercando di imparare a regolare la propria attività. In virtù del fatto che è privo di effetti collaterali e non è in alcun modo invasivo, viene utilizzato nei bambini che soffrono di una problematica come quella dell’Adhd.

Cerchiamo ora di approfondire questa tecnica, rilevandole i vari aspetti. Partiamo dal presupposto che uno degli obiettivi che risultano essere collegati alle neuroscienze è quello di arrivare a capire quali sono le alterazioni e i meccanismi cerebrali che sono legati a determinati disturbi che una persona tende a percepire. Avvalendosi di questi approfondimenti e avendo una maggiore comprensione delle problematiche è possibile sviluppare degli approcci, delle metodologie che come tali consentono di ripristinare il funzionamento corretto. Proprio con quest’ottica, nel corso del tempo, sono state sviluppate delle tecniche e delle metodiche definite di bio e di neurofeedback. In base a studi e approfondimenti vari, si è visto che sia negli esseri umani che negli animali, si può arrivare ad autoregolare la propria attività cerebrale. Su questa dinamica si basa e si sviluppa la metodica definita del neurofeedback.

Sessioni e attività cerebrale

Durante il corso di una sessione di neurofeedback cosa avviene esattamente? La risposta corretta è che l’attività cerebrale del soggetto, viene registrata avvalendosi di un elettroencefalogramma e viene in seguito fatta vedere alla persona. In pratica in tempo del tutto reale, l’attività viene registrata tramite suoni, immagini e animazioni. Tramite queste metodiche, la persona riesce a vedere le “onde cerebrali” dal vivo, imparando in questo modo a modificarle, arrivando nel corso del tempo a modificare gli stati delle varie attività del cervello in maniera desiderata. Come si produce una condizione del genere? La risposta corretta è che tale condizione si produce ogni volta che il soggetto riesce a modificare la propria attività cerebrale in una modalità tale per cui si va in una direzione differente, più corretta e giusta.

Utilizzando una sorta di rinforzo con una valenza positiva, il cervello del soggetto ha la capacità di imparare ad adattarsi ad uno stato del tutto diverso. In pratica il neurofeedback potrebbe essere paragonato ad una sorta di “palestra per il cervello”.

Livello di attenzione

Scendiamo ora nel dettaglio di questa metodica e vediamo nel concreto cosa accade, portando un esempio. Immaginiamo per un attimo una persona che vuole magari incrementare o allenare la propria capacità a livello cerebrale di riuscire a mantenere l’attenzione. Per fare questo è importante posizionare gli elettrodi collegati nelle zone del cervello che sono collegate ai processi di natura cognitiva. In questo modo è possibile monitorare l’attività di natura elettrica che sono collegati nel processo di attenzione. Cosa fa esattamente il sistema? Registra l’attività elettrica che viene rilevata dagli elettrodi che sono collegati alle aree cerebrali coinvolte in questa dinamica, restituendo un’immagine che viene successivamente proiettata su uno schermo che si trova davanti alla persona coinvolta.

Se i circuiti collegati all’attività che deve svolgere la persona, in pratica si è attenti e concentrati, l’immagine tenderà ad avere una forma maggiormente luminosa. Se invece il soggetto tende a distrarsi, allora l’immagine tende a diventare maggiormente sfocata e anche più scura. Tramite questa modalità saremo maggiormente consapevoli di avere un livello di distrazione maggiore e in grado di recuperare l’attenzione perduta.

Cosa accade quindi in una dinamica del genere? Quello che il soggetto andrà a fare è allenare i circuiti legati all’attenzione.

Adhd e Neurofeedback

Quali sono le interazioni in una problematica come quella dell’Adhd e il Neurofeedback? La risposta corretta è che in un arco temporale pari a 20 anni, si sono fatte delle indagini molto approfondite che hanno analizzato le alterazioni di natura neurofisiologica relative all’Adhd. Uno dei risultati maggiormente interessanti in tal senso è legato al fatto che c’è una presenza e un rapporto molto alto tra onde definite “theta” e le onde definite “beta”. Per fornire una spiegazione che sia in tal senso il più semplice e chiara, possiamo dire che le onde definite “beta ” a livello frontale sono onde che come tali hanno una frequenza molto alta. Quando si registrano?  Si tratta di onde che tendono ad avere una frequenza molto alta e si possono registrare nel momento in cui i neuroni sono impegnati come tali in delle attività cognitive piuttosto complesse. Per esempio quando l’azione deve risultare sostenuta per un determinato periodo. Parlando invece delle onde “theta” sono quelle che vengono definite a frequenza lenta che si possono registrare nel momento in cui il cervello si può trovare in uno stato che risulta essere di attivazione minore.

Se in una persona si dovesse riscontrare un rapporto alto tra onde theta/beta frontale, dinamica che si può rilevare in soggetti che soffrono di Adhd, mette in evidenza come come le funzioni cognitive alte, quelle che consentono di mantenere un livello di attenzione alto, siano decisamente meno attive.

Avvalendosi del neurofeedback, c’è la possibilità di intervenire su questo rapporto che abbiamo appena approfondito, riuscendo nel corso del tempo ad “allenare” i neuroni che tendono a produrre le onde beta.

Parliamo di protocollo

Proprio per i bambini che soffrono di Adhd, l’approccio più corretto è quello che tiene conto dell’attivazione dei neuroni che producono le onde definite beta. In questo protocollo cosa avviene esattamente? La risposta corretta è che viene registrata l’attività definita “theta” e “beta” relativo alla parte frontale del cervello di una persona. Se si registra l’attività beta, il software che sta registrando il tutto, tende a fornire un feedback positivo. In questo modo il cervello del soggetto, in maniera del tutto graduale, riesce ad imparare ad attivare i relativi neuroni che tendono a produrre questo ritmo, disattivando nel contempo quelli che tendono a produrre i ritmi definiti “theta”.

Adottando questa metodica, si potrà avere nel corso del tempo un miglioramento legato alle capacità che ha il soggetto nello stare attento, riducendo anche la sintomatologia legata all’Adhd. Il neurofeedback non ha effetti collaterali ( per gli studi fino a questo momento condotti), può essere quindi utilizzato in casistiche come l’Adhd.

Disordine e cervello